SOVVERSIONE E REINVENZIONE
GINO FREZZA(Universidad de Salerno)

Title:
Subversion and reinvention. Double sign of comics in the first Sunday pages
Resumen / Abstract:
Versión original, en italiano, de este artículo en el que se muestra como las primeras series publicadas en las páginas dominicales, especialmente aquellas relacionadas con los niños y la infancia recogen un doble signo: la subversión respecto al mundo de los adultos y la reinvención al mostrar el mundo desde el punto de vista infantil. / This paper shows how the first series published on the Sunday pages; especially those related to children and childhood, have a double sign: subversion with respect to the world of adults and reinvention by showing the world from the point of view Children's view. Original versión in italian.
Palabras clave / Keywords:
Lyonel Feininger, Wilhelm Busch, Winsor McCay, Rudolph Dirks, Tiras de prensa, Yellow Kid, Katzenjammer Kids, Little Nemo, Buster Brown, Gustave Verbeek, The Upside-Downs, Outcault, Max und Moritz, The Kin-der-Kids/ Lyonel Feininger, Wilhelm Busch, Winsor McCay, Rudolph Dirks, Comic strips, Yellow Kid, Katzenjammer Kids, Little Nemo, Buster Brown, Gustave Verbeek, The Upside-Downs, Outcault, Max und Moritz, The Kin-der-Kids

Sovversione e reinvenzione
Il doppio segno dei comics nelle tavole domenicali delle origini

 

1. Sovversione

Il fumetto delle origini ha moltissimo a che fare con i bambini e l’infanzia. La maggior parte dei suoi personaggi sono bambini, non per caso. Prevalentemente in America (ma non solo), nel corso dei sui primi due decenni (1896-1916) il fumetto si rifà a una tradizione illustrativa per la quale, durante tutto l’Ottocento, i bambini sono personaggi dal valore espressivo, e dall’esemplarità socio-culturale, indiscutibile. Nelle opere di un artista europeo operante nell’Ottocento come Wilhelm Busch e, in particolare, nei suoi Max e Moritz (Busch 1865; Fig. 1-4), i bambini ne combinano di tutti i colori mettendo a repentaglio la vita degli adulti e sovvertendo le apparenze del loro mondo e ambiente, creando sconquassi e pericoli (talora, senza saperlo, contro se stessi).

Fig. 1-4: Max e Moritz.


                
Al modello narrativo e illustrativo rappresentato dall’opera di Busch si ispirano gli artisti che fanno nascere il medium del fumetto nelle tavole domenicali a colori dei giornali americani, nell’ultimo decennio del XIX secolo. Il salto di qualità che i fumetti attivano rispetto alla tradizione illustrativa consiste nel pieno sviluppo di un apparato produttivo che gradualmente si specializza in termini creativi, di linguaggio, di forme di consumo, di spazi di pubblicazione, di consenso ottenuto nel grande pubblico dei lettori.

        La tradizione dei “bambini terribili” si modifica e si adatta al nuovo medium, grazie alla sensibilità e all’attenzione prestata dai maestri dei primi fumetti (Giammanco 1965; Kunzle 1973; Gubern 1975; Horn e Secchi 1978; Frezza 1978 e 1999; Barbieri 1990; Groensteen 1999 e 2009; Castelli 2003, AA.VV. 2007). A cominciare da Richard Felton Outcault, che, a partire dal 1896, con il suo Yellow Kid, il bambino cinese dal camicione giallo (ecco da dove sorge il nome del personaggio), crea scompiglio, come i monelli di Busch, nelle tavole che raffigurano il quartiere di Hogan’s Alley della New York di fine Ottocento (Outcault pubblica inizialmente le tavole di Yellow Kid per The World di Joseph Pulitzer, per poi passare al supplemento The American Humorist del Journal di William Randolph Hearst).

     
Fig. 5: Yellow Kid.      

Lo scompiglio e il disordine che Yellow Kid promuove assieme ai suoi coetanei hanno un vantaggio: creano il movimento in ambienti sociali che, altrimenti, sarebbero ingessati, bloccati nella ripetizione dei ruoli fra adulti (notabili, ricchi vanitosi ecc.). Questo movimento – non è poco per un mezzo di comunicazione fatto di immagini statiche, fissate sulla carta – è quello indotto dallo sguardo dei lettori: nella successione dei disegni (ben presto articolati in un preciso numero di vignette) l’immagine complessiva della tavola di Outcault consente ai lettori di cogliere il movimento dei corpi e degli oggetti nello spazio e nel tempo (Fig. 5 Yellow Kid).

Le immagini di personaggi-bambini che mettono a soqquadro il mondo degli adulti esprimono punti di vista critici sulle logiche, sulle apparenze e sul decoro del mondo borghese di fine Ottocento e di inizio Novecento. Anche la famiglia e l’interno delle case sono il teatro visivo di scompigli dell’ordine messi in atto da bambini non soltanto curiosi ma anche simpaticamente disobbedienti e nondimeno astuti nell’ordire piccole – alcune divertentissime – trappole contro gli imperativi della morale e il formalismo degli adulti (Fig. 6-9). Nelle tavole di Buster Brown (autore è ancora R. F. Outcault, che le pubblica sul New York Herald) l’artista sa rappresentare efficacemente gli interni delle case della borghesia ricca – Buster Brown è abbigliato da bambino lindo e pulito, dai bei cappellini e abiti – che vengono attraversati dalla corrente elettrica delle marachelle di Buster e del suo cane Tige.

 

 

 

Fig. 6-9: Buster Brown.

 

Ma la comicità che si manifesta in questi fumetti americani non riguarda solo la classe dei ricchi e dei borghesi; investe anche i mondi (diversi fra loro) dei proletari o delle persone del ceto medio, della piccola gente (come nelle famose tavole domenicali dei Katzenjammer Kids, di Rudolph Dirks e poi anche di Harold Knerr, per il Journal). Le tavole dei Katzenjammer Kids (Fig. 10-13) sono state indagate, da studiosi di fumetti e di comunicazione, prevalentemente per il loro linguaggio verbale: una sorta di inglese (scritto sulle tavole, nei balloons) storpiato nella pronuncia, molto simile a quella degli immigrati di lingua tedesca o polacca, dunque corrispondenti a ibridi di lingua parlata che rimandano chiaramente al tema della grande immigrazione di europei in America a partire dalla seconda metà dell’Ottocento. Questa forma di inglese scritto scorrettamente serve a esprimere le modalità di vita – contraddittorie ma estremamente veritiere – con cui si produsse in America il crogiuolo, la mescolanza, l’integrazione ma altresì le differenze, il conflitto, di varie etnie e culture (il cosiddetto melting pot) in conseguenza dei grandi processi dell’immigrazione transcontinentale.

Fig. 10-13: The Ketzenjammer Kids.

 

Ma le tavole domenicali dei Katzenjammer Kids sono efficaci sul piano della comicità dovuta non solo al loro peculiare parlato-scritto sgrammaticato; sono anche perfetti turbini di gags (di situazioni buffe e divertenti) e di azioni che i bambini provocano, spesso a danno degli adulti ma talvolta anche con effetti boomerang nei confronti di sé medesimi; dal gesto irriflesso delle gags al tranello premeditato di scherzi divertenti e inesorabili, i lettori d’inizio Novecento osservano come – in questo campo di estrema, e talora crudele, comicità – la realtà macroscopica della società si possa leggere in vitro, adattata alla dimensione microscopica della catena dei disegni in successione. Le tavole dei fumetti americani delle origini sono interessanti ed estremamente ingegnose per come si innescano e si articolano le situazioni comiche fra bambini e adulti. Il modello di partenza resta quello delle opere di Busch, ma poi tutto diventa più frenetico; è una sorta di scatenamento dionisiaco del gag che rovescia ogni cosa: il rapporto fra genitori e figli, fra il ricco e il povero, fra l’ordine e il disordine, fra l’autorità e il caos.

In tal senso, il fumetto precorre il grande cinema comico muto. Mentre le pellicole di Max Sennett, Charlie Chaplin, Harold Lloyd, Buster Keaton, vengono prodotte nel secondo decennio del Novecento, i fumetti invece esprimono le potenzialità artistiche della comicità almeno una quindicina d’anni in anticipo. E si può affermare che lo slapstick, cioè la grande tradizione della comicità gestuale che verrà espressa ad altro grado dal cinema, nasce in realtà nei fumetti e, a partire da essi, si fa largo nel divertimento scatenato a favore del grande pubblico.

1.1. Sovversione: prima linea di sintesi

Una forma di espressione dell’universo popolato dai bambini nei fumetti delle origini è quella della sovversione comica. A cosa serve, o meglio, cosa significa in profondità? Perché la comicità è tanto importante?

Una prima risposta è che la comicità crea una forte complicità con i lettori. Che si divertono e dunque si affezionano ai fumetti stessi, seguendoli settimana per settimana (in una bellissima sequenza del penultimo capolavoro filmico di Ernst Lubitsch, Il cielo può attendere, del 1943, ambientato a New York e nella provincia americana di inizio Novecento, due coniugi anziani, che vivono una vita quasi separata fra loro, a tavola mentre fanno colazione si contendono la lettura della pagina domenicale, appena uscita sui giornali, dei Katzenjammer Kids. I coniugi si fanno ripicche reciproche mentre uno dice all’altro – che non vuole saperlo prima di leggere da sé – come si risolve il garbuglio comico messo in atto nella pagina domenicale del fumetto).

Una seconda risposta conduce all’interno del meccanismo comico, che nei fumetti interviene su come le immagini esprimono i rapporti fra i corpi dei bambini, gli oggetti e lo spazio familiare o sociale. Una analisi attenta di come queste tavole strutturano la dinamicità delle vignette mette in luce come esse stiano gradualmente formalizzando le regole della narrazione visiva-scritta del fumetto stesso. Una risposta più profonda e stringente della prima è, quindi, che la comicità mette in forma i linguaggi del fumetto e rende questo medium sicuro nella presa percettiva dei lettori e nella costruzione di un intero universo simbolico e sociale.

2. Reinvenzione: seconda linea di sintesi

Assieme alla comicità e alle meccaniche che fanno sorgere un disordine che mina le regole della società di inizio Novecento, esprimendo una certa qualità nei rapporti fra le classi sociali, i fumetti delle origini manifestano un altro importante aspetto: la maniera dei bambini di vedere e considerare il mondo con un occhio fiabesco, incantato, tale da cambiare le varie fisionomie della realtà e di interpretare quest’ultima in maniera decisamente fantastica. È la linea presente in vari fumetti che hanno la capacità di aprire uno sguardo meraviglioso sulla vita e sull’esistenza, e che tuttavia si nutrono di una serie di riferimenti culturali precisi e determinati (la letteratura avventurosa, le illustrazioni fantastiche alla Jules Verne o nel segno di Albert Robida, ecc.).

Consideriamo alcune tavole che, su questa linea, apportano un contributo davvero meraviglioso. Anzitutto, quelle di un fumetto unico nel suo genere. L’autore, Gustave Verbeek, scrive e disegna (per l’Herald) una serie che s’intitola Upside Downs, ossia letteralmente “sopra sotto”, in cui le tavole possono essere lette nel modo diritto e significano una cosa, ma possono poi essere rovesciate e il loro segno visivo significa una cosa che è l’esatto opposto della prima immagine (Fig. 14-17).

 

Fig. 14-17: Upside Down.

La tavola The Fairy Palace di Upside Downs è decisamente chiara in questa direzione della lettura:

i due personaggi, Little Lady e Old Man, entrano in un bellissimo palazzo su un lago. Durante la visita nel modo diritto essi incontrano un genio e tanti graziosi folletti, nel modo a rovescio non solo Little Lady si trasforma in Old Man (e viceversa) ma i folletti diventano spiriti maligni e il genio si trasforma in un toro furioso. Già nella didascalia iniziale, il testo avverte di un’avventura a doppio senso («the beautiful lake» è «just like a mirror») mentre il disegno presuppone un scambio d’identità del palazzo e del suo riflesso nel lago. L’avventura dei personaggi nasconde sotto attraenti apparenze un aspetto terrificante insospettato, e così Little Lady, la gentile e curiosa bambina di un labirintico fumetto, in seguito deciderà di non soddisfare senza ragione la sua curiosità! (Frezza 1999: pp. 35-36).

Eccoci di fronte alla capacità davvero sorprendente di saper conficcare le figure del disegno in una doppia e opposta valenza di significato. È un gioco di specchi a incastro, una specie di partita a scacchi con la capacità dei lettori chiamati ad assumere e a gestire la percezione visiva di un segno e, assieme, esattamente la percezione del segno contrario al primo. L’artista Verbeek allestisce un piccolo labirinto di apparenze visive che dimostra la qualità assolutamente non innocente a cui può giungere l’abilità dei lettori di riconoscere figure che si muovono e che hanno, perfino, l’abilità di vincere la fissità su carta! Nello stesso tempo, questo itinerario (insieme divertente e malizioso) restituisce la grazia incantata di figure visive in tal modo vincolate a una struttura formale quasi-matematica.

2.1. Lyonel Feininger

Guardiamo ora attentamente i fumetti di Lyonel Feininger – artista ascrivibile all’avanguardia dell’espressionismo tedesco di inizio Novecento, amico di Vassilij Kandinsky e componente del Blaue Reiter (Cavaliere azzurro), anche se americano di nascita – il quale nel 1904-05 disegna varie tavole a Parigi (da lì inviate negli Stati Uniti al Chicago Sunday Tribune). Nelle sue opere, tutti i temi del fumetto sono ripercorsi con la sagacia di un artista d’avanguardia che sa commisurarsi, molto efficacemente, con il consumo culturale di massa. La sua serie di tavole domenicali Kin-der-Kids continua la tradizione dei bambini che sovvertono l’ordine delle cose (quello naturale ma anche quello sociale) con una sapienza compositiva in grado di esaltare le competenze cognitive dei lettori bambini e adulti (Feininger 1974 - Fig. 18-21).

Nella tavola d’inizio di questa serie disegnata nel 1906-7 per il «Chicago Sunday Tribune», Feininger si presenta nei termini del «famoso artista tedesco», e si dà ironicamente una spavalda etichetta di appartenenza «europea». Feininger ha trentacinque anni, forse è a Parigi quando disegna queste tavole, ha avuto contatti con alcuni determinati ambienti, ma non fa già parte di una «avanguardia» per la semplice ragione che questa non si è ancora formata. A dispetto dell’etichetta, e della sua ispirazione germanica, europea, egli è nato a New York nel 1871. Nonostante l’asserzione di una patente di nobiltà e il tentativo di definire singolarmente la sua opera sul supplemento domenicale di un giornale (non importa qui la sua coloritura a rovescio tra ironia e denuncia di sé), la sua attività nel campo dei fumetti domenicali non si distingue in maniera significativa da altre (Gustave Verbeek, Rudolph Dirks, Richard Felton Outcault, Winsor McCay, ecc.). Tantomeno quella patente di nobiltà impedisce di ritrovare i tratti propri di un lavoro che, per quanto individuale, è in regola con tutti i meccanismi tipici del lavoro seriale e industriale. Si può anzi dire che, come per l’opera di Winsor McCay, le condizioni espressive in cui si muove Feininger, oltre a contenere implicitamente le istanze che più tardi si configureranno in modo esplicito nella sua attività di artista europeo, confermano che l’apparato dei comics in quel periodo ha promosso un sapiente adattamento delle esigenze di una comunicazione convenzionale con la ricerca di sperimentazioni, dentro le quali fare la prova del circuito comunicativo. Si può ritenere, a ragione, che l’essere stato disegnatore di comics sui giornali americani fu un’esperienza decisiva per il Feininger artista europeo d’avanguardia. Una condizione, in particolare, va messa in rilievo, marcando la peculiarità della situazione da lui vissuta nei panni del disegnatore dei fumetti. Feininger operò sui giornali americani con la sicurezza di avere un pubblico.

Ecco perché risulta significativa la posizione di Feininger nel 1906. Quando lavora per il «Chicago Sunday Tribune» egli sta al prologo dei processi di teoria e di pratica dell’avanguardia. Il suo lavoro intellettuale non si è ancora negativamente proposto in una irriducibile singolarità (tale proposito è di identità dell’avanguardia a un livello teorico, mentre nella pratica la ricerca d’avanguardia può risultare anche quale prestazione privilegiata di lavoro tecnologico e seriale). La certezza del rapporto col pubblico, mediato dall’apparato dei comics e del giornale, non impedisce a Feininger di tracciare linee di sperimentazione, cioè di seguire una sorta di sentiero guida tramite cui l’espressione individuale del disegno si concilia con le forme istituzionali della comunicazione. Muovendosi quindi secondo un rapporto garantito col pubblico, Feininger disegna dei kids, pienamente rispettando la norma del fumetto americano, senza imbarazzo di sorta, in quanto il giornale e la tavola domenicale aprono spazi immediatamente legati a una trasgressione della convenzione entro cui egli opera.

 

Fig. 18-19: Feininger.

Il «famoso artista tedesco» che presenta i personaggi «da lui creati» sulla pagina del 2 aprile 1906 (Feininger 1974, p. 9, Fig. 21) è un burattinaio che stringe sulle proprie dita i fili con cui tiene sospesi burattini, manichini, ovvero personaggi-giocattoli. Sulla tavola c’è un ulteriore indizio: lo «zio Feininger» è targato come un pacco postale, al suo orecchio è appeso un cartellino che uniforma il suo viaggio (o il viaggio che farà da storia alle avventure dei Kin-der-Kids) a quello di una qualsiasi pratica postale. Di Metafora in Metafora, è lo stesso viaggio delle tavole disegnate che giungono dall’Europa alla sede del giornale, e delle copie stampate del giornale al consumatore-lettore. La creazione di Feininger è dentro l’industria, anche se l’artista ne è già fuori: il suo gioco consiste nel dichiarare il suo stare dentro. Il viaggio da dentro a fuori è un lavoro di «firme», «timbri», «marche» la cui funzione, e il cui significato, è produrre un essenziale riconoscimento di condizioni, di tracce, di fondamenti dell’avventura a fumetti. Quello dei suoi personaggi è appunto un viaggio timbrato, passa nei punti obbligati dell’itinerario fantastico-avventuroso percorso da quasi tutti i kids del fumetto.

I Kin-der-Kids viaggiano per Mare, Aria, Terra, su Barche, Navi, Palloni Aerei, Vasche-da-Bagno usate come Slitte. La timbratura, la marcatura, dell’itinerario dei Kids si ripercuote nella caratterizzazione esasperata dei monelli, o della zia, o del sig. Pillsbury, o del Misterioso Pete. Feininger condensa nel Kin-der-Kids le possibilità di regolamentare l’immagine visiva di spazi linee grandezze diverse, fino a che dall’interno si sgretolano. Schemi prospettici tendono a garantire la regolamentazione ma un allungamento inverosimile o uno schiacciamento della prospettiva li rendono intermediari e mediatori di una dinamica evanescente. L’evanescenza si genera quando una netta determinazione di spazi grandezze linee si fonde con una loro estrema indeterminatezza. In certe tavole dei Kin-der-kids, le linee che segnano la schiuma di sale del mare mostrano l’inquietante, evidente, similitudine con la pagina strappata. La Rappresentazione convive con la rottura dei mezzi (materiali e semiotici) su cui essa stessa si basa. L’evanescenza è il trasformarsi della percezione di una figura nel gentile dissolversi delle apparenze.

 

 

Fig. 20-21: Feininger: Kin-der-kids.

Una tavola dei Kin-der-kids mostra come la dinamica tra elementi diversi asserisca tematicamente, oltre che prospetticamente e figurativamente, quella evanescenza. La Melanconica perdita del pallone della spedizione di soccorso Jim-Jam introduce in un mondo che sembra uscito dalla penna di Jules Verne (Feininger 1974, p. 22, Fig. 26). Una nave (di cui si vede una parte per il tutto) e una linea di orizzonte formano i due ambienti (la nave - il culturale; il mare esterno e il cielo - quello naturale) che racchiudono personaggi dalle dimensioni più diverse e stravaganti. Il dialogo sottolinea un incrocio bizzarro, specie nella prima vignetta in cui i personaggi si presentano al lettore e si scambiano battute [« Sono Pillsbury, esperto in pillole». «Lieto d’esservi d’aiuto, Milady». «è un ammiraglio, mi pare». «è un essere miracoloso». «Sono bagnato come un gatto bagnato». «Sì, di recente abbiamo avuto una certa varietà di avvenimenti »]. Le figlie di Pillsbury entrano di scena nella seconda vignetta. Qui, la disparità di tutti si organizza entro alcuni incroci delle linee prospettiche, rispettando il graduarsi delle forme e delle grandezze: ad esempio, l’incrocio ad angolo in cui da una parte è la linea dell’inchino fatto da Milady e dai suoi compagni, dall’altra il crescere progressivo e ordinato dell’altezza delle figlie di Pillsbury. Il contrasto tra linee che si tengono parallele (nella terza vignetta, quella delle figlie di Pillsbury e di Milady e quella del pallone da loro ricamato), oppure che si tagliano (le linee precedenti con quella della nave e dell’orizzonte), fa sì che i gesti e le posizioni dei personaggi creino una notevole dinamica visiva, eppure le stesse linee funzionano da segnali di stabilità e di costanza dei luoghi e degli spazi, anche quando questi occupano misure diverse tra vignetta e vignetta.

La dinamica così fondata, tra la quarta e l’ultima vignetta, provoca la percezione sensibilissima anche se astratta del volo del pallone, in funzione del mantenersi di un’ideale linea che congiunge il punto in cui, sulla nave, il pallone occupa uno spazio ingombrante, e quello invece estremo alto destro dell’ultima vignetta, dove il pallone si riduce a quasi un puntino prossimo a scomparire (fuori campo). La distanza irraggiungibile del pallone è relativa non solo alla sua piccolezza entro la vignetta, ma in rapporto agli ambienti «nave» e «mare-cielo»; ed è così configurata perché chi lo osserva è distribuito su direzioni più o meno inclinate e parallele aventi lo stesso angolo di incidenza rispetto all’orizzonte. Per ultima, se non bastasse, la linea dell’orizzonte non è tagliata, sovrastando il lungo cappello dell’altissimo Pillsbury e dando rinforzo alla separazione dei luoghi della nave e del cielo. L’evanescenza è affermata nel tema di questa tavola. L’ingombro del pallone sulla nave corrisponde alla sua scomparsa, proprio come è sintomo di evanescenza lo sguardo melanconicamente diretto al pallone, perso nell’azzurro del cielo, che era stato oggetto di tante cure e riparazioni (prospetticamente ordinate nello spazio). All’interno dei ruoli prospettici il pallone risulta presenza dominante esattamente come è incombente assenza.

 

Fig. 22-23: We Willie Winkie's world.

Esiste una continuità espressiva e tematica tra i Kin-der-Kids e un’altra opera a fumetti di Feininger , Wee Willie Winkie’s World. Questa serie di tavole (Feininger 1974, pp. 39-56, Fig. 22-23) ha per suo tema l’osservazione delle cose e del mondo da parte di un bambino curioso ma altresì timido e spaurito. Il tema viene espresso facendo apparire i cambiamenti e i travestimenti del mondo come magia delle apparenze della natura: tempesta, sonno, vento, il modificarsi smosso dei venti o delle nubi, vengono riconosciuti dal piccolo Willie antropomorficamente; il sole, la luna, i muri, i tetti dormono e sbadigliano come tanti uomini (o tanti bambini). Così, tematicamente, il fine nascosto di queste tavole fa coincidere la visione o immaginazione animistica delle cose con il corpo dell’ombroso e gentile romanticismo sognante del disegno. Si dà, cioè, uno sguardo sul mondo romantico e sognante, se romantica è l’organizzazione di tale sguardo, e se lo spazio, i contorni, le dimensioni si manifestano, nella loro rappresentazione, propriamente come tema: oggetti di visione di un bambino.

Wee Willie Winkie’s world è forse l’apoteosi di una linea espressiva che si edifica in diverse tavole domenicali di vari autori del fumetto americano delle origini, ossia quella dell’incanto fiabesco e della reinvenzione di un mondo singolare, che trasforma l’oggettività del reale in una sorta di sogno a occhi aperti. Il piccolo Willie vede il mondo con lo sguardo capace di animare le cose e gli elementi della natura e della cultura (case, alberi, nuvole, montagne ecc.), provando emozioni originarie, in bilico fra sollievo e terrore, prossimità affettiva e distanza emozionale.

3. Fusione: il doppio segno in Winsor McCay

Passiamo infine ai fumetti di Winsor McCay (autore assolutamente cruciale nello sviluppo dell’industria culturale americana di inizio Novecento, considerato tra i più importanti maestri del fumetto, specialmente del periodo delle origini).

Little Nemo in Slumberland (la serie a fumetti più nota di McCay, disegnata dal 1905 fino a tutto il 1914 per il New York Herald, ritenuta da Del Buono 2004 – con il Satyricon di Fellini e il Flash Gordon di Alex Raymond – uno dei tre grandi viaggi figurativi e fantastici della cultura moderna) riunisce infine le due linee qui sinteticamente esposte: quella della sovversione ma anche quella dell’incanto e del fiabesco, del meraviglioso e dell’onirico (Fig. 24-28).

 

Fig. 24-25: Little Nemo in Slumberland.

Ciascuna delle tavole di McCay da un lato mette in opposizione la dimensione giocosa tipica degli occhi infantili e dello stupore che questi vivono davanti alle diverse realtà conosciute e incontrate (con la propensione a realizzare il loro specifico piacere, anche corporeo) e l’improvviso scoprire che tutto può rivelarsi diverso, inquietante, pericoloso, se non minaccioso. Così la sovversione tipica del primo segno dei fumetti ripensa radicalmente se stessa, mentre si contamina con la seconda linea tesa alla conquista e all’esplorazione di un reale fantastico, sorprendente e talvolta perturbante.

Prendiamo a esempio una sola tavola di Winsor McCay, particolarmente importante in quanto non solo fonde meravigliosamente il doppio segno – sovversione e reinvenzione – che caratterizza l’universo dei fumetti nelle tavole domenicali delle origini, ma in quanto tale doppio segno mette addirittura in gioco, radicalmente, l’identità mediale stessa dei comics.

     
      Fig. 26: Little Nemo in Slumberland.

Nella tavola pubblicata l’8 novembre del 1908 sul New York Herald (Fig. 26), Little Nemo, in cerca di avventure in compagnia del suo amico più anziano, Flip, e di un coetaneo proveniente da una terra selvaggia, incappa nella sua più straordinaria vicenda. Al centro di questa si situa l’immagine di un cibo assai particolare: torte e biscotti che hanno la speciale caratteristica di essere giganteschi, così da ingombrare il campo visivo di alcune vignette. Le torte e i dolci marcano la loro grandezza in riferimento a quella dei tre personaggi: maraldi che si introducono nella fabbrica di torte appunto per scegliere quale dolce divorare e per soddisfare l’eterno, incontenibile desiderio infantile di averne ancora e di più…

Ma questa situazione davvero promettente si rovescia quanto prima: dalla loro allettante grandezza, le torte cominciano a sparire progressivamente, da vignetta a vignetta, provocando un piccato e inevitabile stupore dei tre avventurieri (Nemo a Flip: “Mi hai preso in giro?”, e Flip: “ Qualcuno prende in giro me!” ). McCay usa strategicamente la scansione dell’immagine-sogno, che provoca una sorpresa repentina e quasi imprevedibile, con effetti fondati sulla metamorfosi dell’immagine grafica risultante dalla successione delle vignette. Si tratta di un carattere tipico della comunicazione dei fumetti rivelato tramite il dispositivo dell’immagine-sogno (come al solito, in tutta la serie di Winsor McCay, l’ultima vignetta della pagina mostra il risveglio di Nemo), con un andamento simile alla metamorfosi della magia. L’intera tavola, d’altronde, manifesta i risvolti di un desiderio – il piacere del mangiare un dolce senza fine, dalla infinita caratura … – seppure mutati in un incubo capace di cogliere i fondamenti della comunicazione dei fumetti.

Che sono i seguenti:

a) Sia l’immagine dei dolci che quella dei personaggi, come la presupposizione visiva di un ambiente (l’interno di una mega-fabbrica di torte e di biscotti) appena vengono calati nella tensione immaginativa che, mentalmente, lega disegno a disegno, sono il prodotto elaborato da una deduzione (quindi da una costruzione logico-emozionale) del lettore della pagina. Grazie a ciò, l’apparenza medesima dell’ambiente e degli oggetti da un lato sembra solida, mentre dall’altro è evanescente, internamente dissolta. Argutamente, McCay suggerisce che, come i fumetti, anche il cibo – appena viene disegnato in sequenze narrative – acquista conseguentemente una intrinseca duplicità, che lo rende sia voluminoso, appetitoso, energetico, sia immagine quasi-fantasma, tenue, rarefatta, sfumata, prossima a essere eterea, se non, addirittura, intangibile.

b) Sulla base di a), la consistenza solida dei dolci nell’avventura di Nemo (ma si può dire: la consistenza stessa dell’immagine e del disegno su carta) è (quasi) una mera illusione. La dinamica sequenziale di questa pagina di fumetto (con la scansione della metamorfosi magica; Nemo: “ Questo posto è stregato!”) dà luogo a una visione suscettibile di essere colpita e affondata in profondità (Nemo: “Il disegnatore ha dimenticato qualcosa!” – “ Non riesco a stare su questa riga”). Ecco, nella terzultima vignetta, il riquadro stesso dell’immagine staccarsi dal fondo bianco della pagina e appallottolarsi sul corpo di Nemo, prima che questi, nell’ultima vignetta, si svegli dall’immancabile incubo che controfirma i suoi meravigliosi e tuttavia orrorifici sogni.

Una prima conclusione dei ragionamenti fin qui dedotti grazie a Little Nemo è che i fumetti possono dar luogo a una turbinosa avventura della percezione visiva, per la fantasmagoria delle apparenze stagliate nella presupposizione mentale che le tavole disegnate attivano nei lettori. Una fantasmagoria che si libra nel diaframma insinuato fra la bidimensionalità della pagina disegnata e la tridimensionalità virtuale riorganizzata dai sistemi cognitivi ed emozionali posseduti e accesi dai lettori medesimi.

 

Fig. 27-28: Little Nemo in Slumberland.

 

In altri termini, nei fumetti di McCay le due linee comprensive dell’espressività dei fumetti americani delle origini sono riordinate all’interno della disvelante dialettica che il segno dei fumetti ricompone con le immagini del reale. McCay caratterizza in tal modo la visione/lettura dei fumetti simile a un sogno/incubo che si definisce e si rovescia, infine, nell’esperienza del “risveglio”. Nei suoi fumetti il meraviglioso, lo stupefacente, il miracoloso, s’intrecciano con il terrorifico, l’angoscioso, lo spaventoso, mostrando come l’immagine nitida del disegno che balza in movimento grazie allo sguardo competente dei lettori sia una esperienza profondamente a rischio di dissolvere o di incrinare se stessa. Dunque, nelle magnifiche tavole di questo autore, sempre sagace, la sovversione e l’incanto delle immagini del fumetto sono due facce di una identica medaglia, e i loro domini non sono così lontani o così dissimili come parrebbe a prima vista.

Con l’analisi dei fumetti di McCay, il nostro breve itinerario, percorso nel doppio segno delle immagini disegnate sulle tavole domenicali dei giornali nel primo ventennio dei comics – sovversione e incanto: un doppio segno non ambiguo, bensì complesso e articolato, anzi precisamente e radicalmente sapiente – rende decisamente chiaro il loro segreto di comunicazione e di cultura. Un segreto tanto trasparente quanto opaco, più ricco di qualsiasi definizione se ne voglia trarre, e in grado di insegnare qualcosa ancora oggi, nell’epoca del post-umano.

 

Riferimenti bibliografici

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TEBEOAFINES
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Creación de la ficha (2017): Gino Frezza. Revisión de Alejandro Capelo. Edición de Antonio Moreno · Datos e imágenes obtenidos del sitio web del editor.
CITA DE ESTE DOCUMENTO / CITATION:
GINO FREZZA (2017): "Sovversione e reinvenzione", en Tebeosfera, tercera época, 3 (11-VI-2017). Asociación Cultural Tebeosfera, Sevilla. Disponible en línea el 21/XI/2024 en: https://www.tebeosfera.com/documentos/sovversione_e_reinvenzione.html